Giorgio Valente
ONDE DELL'ANIMA
La tentazione di considerare tutti gli infiniti e minimi particolari della nostra quotidiana vita terrena degli inutili e ripetitivi nonsensi, rispetto all'immensa eternità del vivere, rischia di annullare ogni sforzo di spiegare, in noi, proprio il senso di quest'apparente nonsenso di vivere.
Non tollero chi vive così, come se tutto ciò per cui si esiste fosse solo questo insensato affanno nel tentativo di condurre una vita fatta di un inutile e sciatto decoro. Chi vieta a noi di vivere nella continua ed inebriante ricerca della sublimazione della nostra anima? Nessuno.
Eppure l'insensata accortezza per l'inutile pervade la moltitudine, come un letale virus in grado di annientare le mirabili energie perfette di cui ogni anima, in partenza, viene dotata. Lasciare queste energie del tutto inusitate è il peggiore degli sprechi. Ma non sono molte, a questo mondo, le individualità in cui è serbato un animo in grado di rimanere vitale.
L'obiettivo di ognuno nel compiere le cose giammai deve essere una misera soddisfazione terrena, mentre invece deve essere l'intima gratificazione della propria essenza. Chi pone al centro del suo vivere solo l'aspetto materiale esterno, da esso, avrà nella vita soltanto delusione immane, in quanto ciò che è materiale è un che di esterno a sé stessi e in quanto tale incolmabile e sterminato, l'Io, invece, già in sé compiuto e perfetto, non ha bisogno alcuno di essere colmato e corretto. Ognuno in sé è un'infinità di opere d'arte: nascendo infatti ognuno è come un blocco di marmo, sta a noi, crescendo nelle giuste esperienze, togliere scartando ciò che è superfluo e che imprigiona l'opera d'arte che è innata in noi.
Il prana interiore, che è il soffio vitale innato in ognuno di noi, in molti sembra svanire con il loro divenire, perché accada questo non so dire, ma il vuoto che lascia al suo svanire è colmato da loro nel peggior modo, da una singolare sfida che lanciano contro sé stessi mirante alle più inutili inutilità, desiderandole spasmodicamente, dato che senza di esse, nel vuoto della loro mente, si assisterebbe solo al conflitto delle loro incertezze. Così tengono occupata la mente per non pensare, ma è il più assurdo errore che si possa fare. Spesso si teme di pensare, ma questo è un grossolano equivoco, perché il timore è dato dal ritenere che il pensiero sia come attratto solo dal dolore, e pensando si pensi di più alle sventure. Mentre andrebbe capito che quelle sventure sono solo velature, che tengono separata la realtà dal pensiero, quello assoluto. Per fare un paragone: se aspiriamo al celeste, noi che abbiamo natura terrestre, non possiamo temere di elevarci al cielo solo perché salendo incontreremmo le nubi, ma dovremmo sapere che continuando a salire troveremmo l'infinito cielo nel quale progredire.