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Donatella Carlotti

Rivoli

Nei “rotondi meandri” (L’attimo) della poesia di Donatella Carlotti si infiltra il senso ultimo delle cose. E lo fa con una disposizione d’animo elegiaca, serena, dialettica, che fa da contraltare al ritmo serrato e talvolta spasmodico di versi che l’assenza assoluta di punteggiatura rende spesso vorticosi; un avvicendarsi allo stesso tempo soffice e palpitante di immagini e sensazioni che traducono l’ossimoro dell’esistenza. Attraverso parole di pregnante semplicità, che rifuggono, bizantinismi e vacua oleografia, ricorre un grido di entusiasmo e amore per la vita anche nelle avversità che essa pone di fronte.
Da un lato la meraviglia per la Natura e i suoi “cristalli liquidi” (Nel tempo); dall’altro il dialogo incessante con la quotidianità e le sue contraddizioni, le sue sofferenze ed i suoi insegnamenti.
L’eudemonica serenità di fondo deriva da un legame quasi simbiotico, persino estatico, con la Natura e i suoi elementi. Il sole, le gocce del mare, l’erba e il cielo, il vento, l’azzurro e il crepuscolo, il “barbaglio cristallino” (Rugiada) e miracoloso della vita che ci circonda sono protagonisti costanti di questi versi, ricorrono quasi come teneri genitori, indicano la strada, plasmano l’anima.
Il diuturno contatto con la Natura, qui davvero madre, costruisce un io colmo, ricco, che si cesella pazientemente, che come in un grande puzzle si definisce tassello per tassello, in un percorso di approssimazioni graduali, che nessuno nasce e vive immobile e catafratto. L’animo trova compimento, pienezza, in un rapporto arcadico con gli elementi. Vi si getta a capofitto e se ne ciba. E un movimento dell’anima che fugge il cemento delle nostre città ipercinetiche e tentacolari per perseguire un ritmo proprio. Cosi come gode nel lasciarsi sommergere dalle mille vite e dai mille colori del mondo, è cosciente delle “punte aguzze delle stelle” (Ora ancora), le vede, le tocca quasi. Ma è anche grazie a queste che i “brandelli del pensiero lieve” (Infinito) si fanno tangibili pietre preziose da cogliere, tasselli luminosi del puzzle della vita. E l’anima si fa “orchestra”. Non strumento solo e solitario per quanto potente, ma comunanza di fiati e corde, di legni e ottoni in olistica coordinazione. Il rapporto con la Natura incontrastato e limpido, perpetua fonte di conoscenza e gioia, incanala l’esperienza del dolore e ne fa una condizione seppure ardua comunque latrice di lezioni alle quali attingere.
“Sì, vivo”, nonostante, quasi in virtù, di un’ ”anima a pezzi” (Ancora). Perché è una vita che non ha paura di confrontarsi con i propri momenti d’angoscia conscia che è anche da essi, come dai tanti istanti di felice spensieratezza, che si attingono le forze e gli insegnamenti per affrontare il nuovo giorno. E le “perle infinite” (Perle) che la sofferenza ruba agli occhi si tramutano in altrettante occasioni di crescita e di consapevolezza. In questo senso gioca un ruolo tutt’altro che secondario la memoria come vettore di autocoscienza, come veicolo per tornare al passato senza rimorsi, piuttosto con l’intima percezione dei passi avvicendatisi l’uno all’altro nel tempo e con il piacere ancora tangibile delle cose vissute. E un discorso sempre vivo tra ieri e oggi. È il passato ad aver costruito il fulgido oggi - perché nessuna pena passata intacca il valore dell’io presente e del tortuoso cammino roccioso che esso ha compiuto per divenire ciò che è - ed è quest’ultimo che torna sulle proprie orme a trovare coscienza di sé, della propria maturità, in uno sguardo retrospettivo ai trascorsi nitidi di ciò che è stato: Talvolta è la fresca ombra dell’infanzia, “le illusioni di bambina” (Sofferenza), a fare capolino da un angolo per far chiarore - seppure, sul momento, un pallido chiarore - nella caligine dello sconforto; talaltra il pesante tabarro dell’infelice esistenza pare avvinghiare ogni speranza, imprigionare l’anelito stesso alla vita in un circolo vizioso di paralisi e demoralizzazione (“corri stando ferma”, si legge ancora in Perle).
Ma alla fine il senso delle cose riporta tutto entro i confini che competono. E la coscienza di ciò che è più grande di noi - che è tale anche in virtù della nostra presenza - riconduce ad una tersa serenità. E si torna a sorridere. Serve sforzo e abnegazione, fantasia e purezza, ma “piano piano afferri la vita” (Suoni).

Dott. Carlo Borri
Scrittore