Patrizia Nizzo
COME FOGLIE
Qualcosa di me…
Scrivere per comunicare emozioni; scrivere per conoscere, per sentire un contatto fuori e dentro di me.
La solitudine è una spaventosa compagna-malattia che si sceglie per difesa, ma si annega nel mare della non esistenza che ne è conseguente.
Per lei sono le mie corse in macchina con lo “stereo a palla”, per lei il bisogno di rumore di gente intorno, di dormire con la luce accesa e le cuffiette con la musica bassa, per non sentirla, per non vederla, per distrarre i pensieri, ma è sempre lì, dentro di me insieme alla rabbia a mordere come un cancro.
Penso a dove nasce, forse in collegio quando avevo cinque anni e sentivo i rumori di vita lontani mentre piangevo in silenzio, spaventata, nel mio letto circondata da altri letti dove altre bambine abbandonate dormivano. Dormivano?...
Io abbandonata lì non capivo perché. Cosa avevo fatto? Penso al ritorno in famiglia senza più riconoscere nessuno. Parlavo sotto voce e chiedevo il permesso anche per respirare, ma nessuno mi chiedeva perché, cosa avevo dentro, cosa mi avevano fatto?...
Ero sola in confronto con i miei drammi e mi sentivo ridicola con addosso il loro tacito senso di colpa che mi umiliava.
Penso alla mia incapacità di desiderare, penso al mio paese, alla scala rotonda sotto al pergolato di uva fragola dove i miei nonni sedevano la sera a raccontare storie mentre io, felice e sicura, rincorrevo le lucciole. Le mie magiche lucciole, prima che tutto accadesse, prima che la vita mi picchiasse ai fianchi con un tradimento così profondo.
Penso al mio mendicare briciole d'amore regalando il cuore, come quando piangevo sulla sua spalla mentre mi diceva: “Mi dispiace, non posso lasciarla per te, lei vale…” Ed era tutto il mio mondo, la speranza d'esistere, il riscatto…
Penso alla mia mano con tanti confetti dentro per soffocare per sempre il grido della rabbia, il disaggio della colpa d'esistere ancora, la solitudine, l'umiliazione del rifiuto senza fine.
Penso al baratro in cui stavo precipitando, al risveglio mentre ancora precipitavo, al bisogno di riempire ancora la mano di confetti maledicendo chi mi aveva strappato dal mio sonno risolutivo e consolante.
Penso al fallimento con chi mi vive accanto, alla sua paura che alimenta la mia solitudine, allo squallore mentre mi guarda smarrito nutrendo il mio senso di colpa e alla mia rabbia per l'impossibilità di dirgli queste cose, penso a quanto è triste essere sola in compagnia…
Penso a dove nasce la mia solitudine, a quale è stato il momento in cui mi sono chiusa nel mio cespuglio di rovi, ma so che muore là, dove trova condivisione e accoglienza