Alcune composizioni degli anni settanta di “Tra le cose, altre cose” risentono della frequentazione della poesia di Antonio Porta per l’elaborazione della tesi di laurea. Il tentativo di far parlare gli oggetti al posto dell’“io”, non consegue l’effetto prospettato. Le cose, più che parlare, restituiscono l’eco umana che rinomina in ogni frammento di realtà la nostalgia della prima conoscenza.
Così la lirica, cacciata dalla porta, rientra dalla finestra e l’uso del linguaggio come registrazione di eventi diviene un mezzo per dirsi/mostrarsi più liberamente: “...il lastricato rosso si chiude alla curva/attraversa veloce il mare entra dalla finestra/dentro l’automobile precipitata ad ogni curva/verso la meta vicina/dietro la pergola e il filo spinato/dopo il tramonto del sole”.
Un’altra poesia recita: “intravedo la scrittura/sulla pagina bianca/come vena sottopelle/”: la vita è una lettura continua, i segni da decifrare sono infiniti, ma per conoscere la verità è bastevole considerare quelli che cadono sotto la nostra diretta esperienza: “..ma l’Eternità/un istante prima dell’ultimo/s’inabissò/di lì a breve si rinnalzò/scuotendo le ali azzurre e vermiglie/e la depose sul bordo verde della piscina/”.
La scrittura/lettura è il segno per eccellenza, basta seguirlo per intraprendere un cammino: “..molto bene pennino nero/mi piace il tuo segno/mi guida in un paese/che non conosco/a sorpresa aspetto/..”, è il vademecum del viaggio dove: “...il cuore... batte solo/nel cuore della notte/”.
Il segno della scrittura non finisce, è germinativo di altri segni in quanto può essere letto: è dialettico come la vita, io e tu, gli altri e noi: “Ho vissuto in tutte le case/che il treno passando ha visitato/... ho visto i passi dei giorni/e la cura delle mani/...ho scorto un volto assorto/che guardava fuori la notte/...”.
Collana "Gli Emersi - Poesia"
pp.96 €14.00
ISBN 978-88-7680-788-6