Sottovoce non è soltanto un libro di poesie dedicate all’amore. Qui vi è vera letteratura, e il dono magnifico dell’autrice è quello di riuscire ad imitare la musica dell’anima con le parole. Il verso di Caterina Corelli trova sempre una soluzione simbolica, un modo di sentire in un’ombra, un canto, un angolo buio, un elemento della realtà che diventa effusione sentimentale. Il simbolo non è una semplice allegoria, perché esso è la cosa stessa che acquista un significato diverso da quello immediatamente percepibile.
Un avvicinamento alle cose della vita e agli uomini è solo una delle aspirazioni della poesia e Corelli non sarebbe stata una vera poetessa se non avesse sentito questa aspirazione intaccata anche da una tristezza profonda, da una disperazione non sempre superabile, dalla sua scissione in due personalità: un occhio vede il meglio e l’altro non sa rinunciare alla propria tristezza, non riesce a svincolarsi dalla solitudine che esclude dal ritmo della vita. Non ci sono rime e il verso è spesso brevissimo. Tramite analogie tra oggetti e sentimenti è però capace di comunicare intuizioni altrimenti indecifrabili.
Certamente si possono fare delle scelte sulle composizioni, preferirne alcune ed altre meno, ma siamo di fronte a poesie che hanno il senso dell’amore, degli affetti e della solidarietà umana. Quasi una cordiale malinconia che non lascia mai spazio, però, allo sfoggio, alla presunzione o al distacco: siamo di fronte ad un travaglio, alla continua sofferenza per cose private e cose di tutti, ma anche alla curiosità umana per cercare di capire di più, soprattutto di un sentimento che sempre interroga l’uomo e la donna e che spesso ne segna definitivamente il destino.
Per dare un’idea meno generica di questa particolarità, consistente soprattutto nelle tecniche poetiche adottate, qui basterà dire che Caterina Corelli adotta un lessico che si distingue per la sua pregnanza semantica, cioè per la sua capacità di oggettiva definizione della realtà interiore, e inoltre si impegna in componimenti che hanno una chiara articolazione, optando sempre per la rarefazione piuttosto che per l’ermetica allusività, e il tutto, come dice la poesia che dà il titolo alla raccolta, deliziosamente, sottovoce.
Saba diceva “M’incanta la rima fiore/ amore / la più antica difficile del mondo”. Bene, qui la struttura delle singole liriche si definisce proprio nella dialettica tra un lessico che tende ad aprirsi e arricchirsi, e una organizzazione del ritmo, del suono e del significato che tende a muoversi dolcemente su misure quasi classiche. È una struttura che si manifesta su differenti registri e figurazioni, consapevoli che la conoscenza umana non può raggiungere l’assoluto, nemmeno tramite la poesia, a cui spesso si tende ad affidare il ruolo di fonte d’elevazione spirituale per eccellenza.
Caterina forse scrive poesia perché questa possa essere una sorta di strumento e di testimonianza d’indagine della condizione esistenziale del cuore. Con emozioni e sensazioni cerca una soluzione simbolica in cui la realtà dell’esperienza diventa appunto una testimonianza di vita. Nella negatività esistenziale vissuta si vede comunque in alcune immagini la speranza in forma di amore, contro questa situazione di “male di vivere” per citare Montale.
Insomma una poesia che va dritta al cuore, che scandaglia nei sentimenti, che dipinge un’emozione e insieme delinea i contorni incerti del rapporto amoroso, con una tecnica poetica sopraffina, di chi conosce davvero gli strumenti della Poesia.
Paolo Castiglia, giornalista
Collana "Gli Emersi - Poesia "
pp.64 €12.00
ISBN 978-88-7680-790-9