Patrizia Nizzo nasce a Todi, il 3 aprile del 1954, quindi ha 56 anni, ma se le domandi di riassumere la sua vita per questioni editoriali, risponde, con tono sincero e un poco sbalordito, che non c’è molto da raccontare; nulla di eclatante. Ed è ovvio che risponda così e dopo la lettura del suo racconto sarà ovvio anche per il lettore.
Patrizia la sua vita non può raccontartela “a voce”, la deve scrivere. Le violenze subite da bambina hanno segnato in modo così profondo la sua identità da non poter dire colloquiando più di due o tre parole. Infatti, raccontarsi parlando presuppone la capacità di sostenere le emozioni, talora anche forti e vive, che sono legate ai nostri ricordi, ai pensieri, alle immagini del vissuto personale.
Ebbene, Patrizia si racconta scrivendo proprio a causa dell’oblio in cui cadono le parole che vorrebbe pronunciare, troppo dense di emozioni: paura di non essere ascoltata o compresa, tremito, timida e troppo grande gratitudine per l’attenzione e poi, ancora, ricordo, immagine troppo violenta del sopruso. in breve tempo, le labbra lasciano parlare gli occhi.
Il racconto-denuncia della violenza fisica e psicologica subita durante la sua infanzia non è solo cronaca di un abbandono in collegio e dei risvolti agghiaccianti sulla psiche di una bambina.
Leggendo di Bebet, (questo il nome che l’autrice si da’ come bambina), si scopre l’identità di Patrizia adulta, mentre lei stessa tenta di recuperare parte di sé attraverso la scrittura che diventa il luogo della denuncia, dell’elaborazione psicologica e il piano della comunicazione con l’Altro.
Patrizia ci racconta Bebet, ma è Bebet, con le sue emozioni che svela Patrizia, in quel meraviglioso gioco di specchi che è l’identità, il passato rivisitato nel presente, i luoghi ricostruiti nella memoria, della percezione dell’oggi, sfumata dalle emozioni del passato che si proietta nel futuro.
L’arte dell’autrice si fonda, quindi, sulla ricerca delle emozioni e della comprensione della tessitura di esse, in una esplorazione che ci restituisce il percorso biografico e al tempo stesso, il percorso dell’indifferenza di una famiglia di ricchi e benpensanti borghesi, dei gesti di anaffettività maturati nella povertà e ingigantiti dalla paura della miseria della sua famiglia, dell’ipocrisia violenta e consapevole di una istituzione religiosa che ha violato tutti i diritti dell’infanzia e della persona.
A dispetto delle immagini forti contenute nel racconto, le parole di Patrizia sono semplici, quasi mai ricercate, sono spontanee, come di chi racconta parlando; rapide pagine di prosa si alternano a poesie, fino a ricostruire quella che lei stessa definì essere stata la sua vita, ovvero quel “NULLA” che nel momento della scrittura diventa comunicazione, si ricompone e, infine, torna ad essere una “PERSONA”, lontana dal gelo della solitudine.
Introduzione di Fabio Seri