Questo libro è un viaggio diverso dalla precedente raccolta di racconti western “Il Baule nella prateria”.
I pensieri nel west sono corti western cotti e mangiati, flashback di un mondo che prima la storia, poi il cinema hanno tramandato nell’immaginario di molti.
Il western pullula di grandi star del cinema da sempre e ormai un altro volto inconfondibile si è affiancato a quello di John Wayne.
È una star che seppur navigando oggi altri generi cinematografici, resta molto legato al “genere per eccellenza” perché sarebbe impossibile immaginare il western senza citarlo.
Dopo aver visti tutti i suoi film, ho deciso di pubblicare questo libro di pensieri nel west.
Anni fa, Sergio Leone vide un giovanotto smilzo in un serial televisivo “Rawhide”.
Leone cercava il protagonista di “Per un pugno di dollari” e per quindicimila dollari, il ragazzo di quel tv movie varcò l’oceano per giungere da noi.
Al giovanotto Sergio mise un sigaro in bocca per renderlo più truce.
I due si conobbero ma il ragazzo non parlava una parola di italiano, sapeva solo dire ciao. Sergio Leone non spiccicava una parola di inglese ma i due grazie all’interprete, entrarono in perfetta sintonia.
“Al mio mulo non piace la gente che ride” fu il biglietto da visita di un personaggio che ben presto sarebbe diventato famoso ovunque così come lo stesso Leone.
Il giovane attore americano, dormiva in Almeria dentro una fiat 500 e tra una pausa e l’altra della sua pennichella indossava il poncho, infilava il sigaro in bocca e faceva sudare il messicano Ramon (Gian Maria Volontè) sbucando da una nube di polvere dopo l’esplosione con la dinamite.
È passato tanto tempo e quel giovanotto di strada ne ha fatta a cominciare proprio dal western a cui ha dato un contributo immenso sia con i film di Sergio Leone, che quelli con le sue regie.
Nel cinema non è un operazione che è riesce a tutti, non è facile per un attore diventare anche regista.
Diversi attori si sono cimentati in qualche regia, ma l’uomo dal volto triangolare è riuscito in una operazione non frequente, diventando a mio avviso, l’ultimo regista classico del cinema americano.
Lo straniero senza nome, Il cavaliere pallido, Il texano dagli occhi di ghiaccio, Gunny, Cacciatore bianco cuore nero, immagini che scorrono davanti agli occhi, western e non, mentre batto sulla tastiera immerso nei ricordi.
Dopo la proiezione di Gran Torino come spesso accade alla fine di un film che coinvolge, la gente restava in piedi per soffermarsi sui titoli che scorrevano.
Ricordo il finale di “Gli spietati,”i primi quattro oscar vinti dall’uomo che a Hollywood anni prima, era stato chiamato sul palco solo per intrattenere il pubblico in attesa di Charlton Eston.
Una bella rivincita quella di tornare alla notte degli oscar per vincerne quattro proprio con un western e battere la Moglie del soldato, casa Howard e Scient of the woman.
Gli spietati è considerato “il suo testamento western”, poi nel tempo, sono arrivati Oscar a pioggia, vedi Mistic river e Million dollar baby, già… il solito finale nella sala di un cinema, la gente non esce subito e siccome è l’ultimo spettacolo, a chi deve chiudere la sala, gli girano i cosiddetti, perché si perdono altri minuti.
Ricordo un particolare di Million dollar baby: alla fine del film cercavo il cappotto e non lo trovavo.
Non mi ero accorto di averlo ancora addosso, perché ero stato subito catalizzato dalla storia: un uomo che trova una figlia e viceversa.
Persino nel filone sentimentale, “I ponti di Madison County”, faccia triangolare ha fatto centro.
Cosa c’è da dire di più su questo infallibile cecchino che non ha sbagliato un film, oscarizzato o meno?
Lo abbiamo visto percorrere i sentieri del western diventando un icona degna di John Wayne, lo abbiamo visto nel poliziesco nei panni dell’ispettore Callaghan, lo abbiamo visto in “Brivido nella notte,” sua prima regia che anticipa di anni “Attrazione fatale”, lo abbiamo visto con la cravatta di cuoio, il cravattino country di uno sceriffo che piomba a New York, lo abbiamo visto raccontare la guerra sul pacifico vissuta su due fronti diversi, lo abbiamo visto fare la guardia del corpo del presidente.
Il libro è mio, avrei dovuto parlare di me, di cosa rappresenti il western per me, come lo vivo, lo scrivo, lo amo, ma per entrare nella mia anima ci sono le prossime pagine dove troverete i miei pensieri.
Il tutto è frutto di gioia , rabbia, delusioni, sogni, vittorie e sconfitte ma sempre con la consapevolezza che la vita è gran calderone di emozioni e situazioni diverse, già… come il western.
Non c’è molto da spiegare perché un libro non si spiega, si legge, ma qui ho scritto perché voglio ringraziare “faccia triangolare” se il western lo adoro e se questo libro esiste.
Saluto quindi la sua carriera fatta di avventura, tensione, durezze, tenerezze, crepuscoli, cupi rapporti familiari, azione e reazione di un mondo perfetto che invece perfetto non è.
Così ho conservato quel sogno mai realizzato: se avessi potuto, avrei voluto essere ucciso in un film da lui.
Sì… cadendo dal tetto di una città western, centrato in piena fronte, sarei volato nel vuoto felice.
“Sì… avrei voluto essere ucciso da Clint Eastwood.”
Stefano Jacurti