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Marco Amore

Sussurri


di una notte insonne
Non mi parlare di notti insonni

«… non è nuova la psicoanalisi, ma Freud. Così come non è nuova l’America, ma Colombo»

Queste parole non sono mie: le ho rubate ad Arthur Schnitzler per potervi modellare sopra un concetto tutto personale, fedele lettore. Oggi i racconti non sono visti di buon occhio come una volta, questo è certo. Alcuni affermano che non donano la giusta intimità che invece può donare un buon romanzo. Molti addirittura li paragonano ad una “sveltina”con una fanciulla, affermando che similmente ad una “sveltina” non saranno mai come una notte di buon sesso.
Io non la vedo in questo modo. Credo invece che posseggano un loro fascino particolare che ai romanzi manca, puoi credermi. I racconti sono sempre esistiti, e come afferma Schnitzler per la psicoanalisi, nuovi non sono loro ma io. Io che ho, naturalmente, un mio stile e un mio modo di narrarli.
Certo questi racconti non vinceranno mai nessun premio per la letteratura, forse anche a causa del genere che seguono, ma non è per tale motivo che non meritavano di essere scritti. Dovevano venire al mondo e io ho fatto in modo che fossero “partoriti”. Ai giorni nostri non esistono più quelle situazioni particolari di cui sentiamo parlare i nonni; quando tutti si riunivano attorno al fuoco, in una bella serata autunnale o invernale, a narrarsi racconti a vicenda. Molto probabilmente quest’abitudine si è persa nel tempo perché la televisione ha sostituito la nostra fantasia e oggi ci troviamo a vivere in un’epoca di uomini troppo simili a cyborg.
Per risvegliare un cyborg e farlo tornare completamente uomo, invertendo tale processo, non vi è modo migliore che fargli percorrere le ossa da brividi di terrore. La paura è propria dell’essere umano, caro mio.
Sicuramente devo partire dallo spiegare il titolo che ho deciso di dare a questa raccolta: “Sussurri di una notte insonne”. Ebbene, fedele lettore, è proprio grazie ad una nottata insonne che ho deciso di dedicarmi a questo volume. Era la sera del 6 Dicembre 2009 e non riuscivo proprio a prendere sonno. Avevo il cervello invaso da una miriade di domande su questioni irrisolte (i veri fantasmi della nostra esistenza purtroppo) e non facevo altro che girarmi e rigirarmi nel letto. Dopo almeno un’ora passata stretto nell’abbraccio caldo delle coperte, decisi di alzarmi e farla finita. ‘Prima o poi il sonno verrà da se’ pensai. Accesi la luce e fissai il quadrante della sveglia: portava l’una meno venti. Scesi dal letto, mi infilai un paio di pantofole e andai a prendere il libro che avevo cominciato qualche giorno prima. Era proprio un’opera di Schnitzler: “Doppio sogno”.
Presi a leggere, ma la mia testa diceva che dovevo fare altro e dopo un po’ capii che se volevo veramente tornare a riposare come si deve bisognava prima stendere qualche riga.
Accesi il pc e aprii la pagina di word. Era bianca, naturalmente. Aspettava solo che le mie mani sfiorassero i tasti e dessero vita a ciò che mi ronzava nella testa. Qualcosa di sfocato e sfuggevole, ma qualcosa di buono, ne ero certo. Fuori stava piovendo e le gocce che colpivano la lampada pubblica appesa nei pressi della mia finestra la sballonzolavano a destra e a manca, dando vita ad ombre raccapriccianti. È in una di quelle ombre che ho visto la storia “Dopo il vespro”. Non lo so, era ancora un’idea confusa ma cominciai a metterla nero su bianco. Sembrava che le dita si muovessero da sole e che la storia non provenisse dalla mia testa, ma da qualcun altro. Qualcuno di esterno al mio corpo. Ci ho lavorato qualche ora ed eccola bella e finita. Ma non ero ancora soddisfatto. Provai a tornare a letto, ma non servì a niente. Nel frattempo pensavo ad un vecchio discorso avuto con un mio amico. Mi aveva parlato di un suo incubo in cui aveva sognato di cadere in pezzi. ‘Ecco il lampo di genio!’ pensai. Mi alzai di nuovo e, andando a ritmo con la pioggia, diedi vita a “Uno zombi a Bonn”. Una storia in cui è presente anche la droga, certamente una delle maggiori piaghe che si sia mai riversata sull’umanità. Il protagonista è infatti un assiduo consumatore di eroina e non serva che vi riporti cifre per darvi un’idea di quanti siano stati i morti per eroina nell’ultimo secolo. Ho provato, in quelle poche righe, a far entrare tutto lo squallore della vita di un tossicomane e spero di esserci riuscito. Spero inoltre di sensibilizzare te a non fare uso di questa roba: può solo ucciderti, credimi. Intanto le prime luci dell’alba stavano colorando i monti e decisi che era davvero ora di andare a letto. Riposai divinamente quel mattino. “Alle volte ti perseguita”è stato scritto in un’altra occasione, ma che tu ci creda o no, mio fedele lettore, era sempre in una notte insonne. Potevo avere undici anni e non riuscivo a dormire poiché quella sera avevo visionato un film sulle streghe. Mi sembrava di scorgerle ora sbucare dagli angoli oscuri della mia vecchia abitazione nella valle caudina. Con la mia immaginazione riuscivo già a vederle sghignazzare mentre attendevano che io mi addormentassi per farmi chissà cosa. Ebbene, amico mio, io non ho dormito per niente e per ingannare il tempo ho preso il mio quadernino che usavo per buttare giù pensieri e ho iniziato a scrivere questa storia. Certo ho dovuto revisionarla, e sicuramente non è il meglio, ma a me ha dato una grande soddisfazione darle vita e questa è la cosa che reputo importante. Molti crederanno che ha dell’autobiografico. Naturalmente come ogni storia possiede una parte di me, ma lungi dal pensare che io abbia una nonna come quella del piccolo Luca! Per l’amor di Dio. Anzi, colgo l’occasione per salutare le mie due care nonne, a cui sono molto legato. Il motivo perché l’ho ambientata dalle mie parti? Beh… è risaputo che la figura della strega è tipica di queste zone e secondo me non avrei potuto scegliere un’ambientazione migliore. “I lupi di Marzo” risale invece all’estate in cui mi ero scrollato di dosso, per sempre, la tensione dell’esame di terza media. Avevo quattordici anni, se non erro. L’ho ritrovata tra i libri ingialliti di scuola che sono rimasti alla mia “vecchia” (tanto per dire, perché avrà più o meno una decina d’anni) abitazione, sempre quella nella valle caudina.
Era scritta su un quaderno sbiadito e ho deciso di inserirla nella raccolta. “I lupi di Marzo” non ha preso vita in una notte insonne, anzi era un pomeriggio assolato di fine Giugno, ma vi assicuro che me ne ha provocate molte…
La storia mi è stata suggerita dai felici ricordi di un’infanzia spensierata al parco ‘Domus Est’ di Frasso Telesino.
Io ed un gruppo di amici (il più grande poteva avere dodici anni) avevamo fondato “la banda dei lupi” di cui rammento che la capobanda era una mia cara amica che ricordo con affetto. Lo scopo era quello di scovare misteri che, ahimé, esistevano solo nella nostra fantasia. Anche se è da dire che oggi non molti sanno cos’è la fantasia e intendo aggiungere che quello è stato forse il periodo che rammento con maggiore affetto. Vi voglio bene, ragazzi. Inoltre c’è da dire che anche uno dei protagonisti della storia soffre di insonnia, Jason, a cui consiglierei una bella tazza di camomilla piuttosto che andare girovagando di notte.
“Stupide Brame” è stata la storia che per me è significata l’inizio della mia carriera letteraria sulla figura macabra del vampiro. Certamente è stata la prima volta che ho preso la penna in mano per far rivivere le leggende su queste affascinanti creature della notte. La situazione in cui si viene a trovare il protagonista, il nostro caro Paul, non è nuova a tante persone. So che è una cosa sinistra, ma ho sentito spesso di gente che si reca al cimitero per sedare i propri istinti sessuali. Non è molto rispettoso per i defunti e nemmeno bello per voi stessi. Pensate che un giorno sarete voi sotto la terra ed altri potrebbero divertirsi a fare l’amore sulle vostre lapidi; o potrebbe accadervi di incontrare una fanciulla come Lisa, chi lo sa!
Non vorrei dirvelo, ma anche io spesso ho violato il confine della terra consacrata. Certo non per gli stessi motivi di Paul, ma piuttosto per una questione di ispirazione. Alle volte ho camminato di notte tra le lapidi e i morti mi hanno sussurrato cosa scrivere. È una cosa magica, perché loro conoscono ogni segreto… ogni cosa. E soprattutto forse l’ho fatto per avere una specie di rapporto con mio nonno. Il nonno a cui non ho mai potuto sorridere; il nonno che non ha mai potuto accogliere i miei dolori sul suo petto.
Non lo ha potuto fare fisicamente, certo, ma vi assicuro che lo ha fatto. Grazie per non avermi mai abbandonato, nonno. “Il noto ignoto” è apparso nella mia mente il 13 Gennaio 2010. Ero andato a comprare delle cose al negozietto di fronte casa mia. Il tempo non era dei migliori e, proprio mentre mi veniva incontro una commessa, mi trovai a fissare al di fuori della porta-finestra. Pensai a come sarebbe dovuto essere se un uomo misterioso si fosse introdotto all’interno e il negozio fosse stato vuoto ad eccezione della proprietaria che mi fissava dall’altra parte del bancone. Dimenticai persino cosa fossi andato ad acquistare e me ne tornai subito a casa a buttare giù questa storia. Il risultato è stato un racconto davvero buono; peccato che avrei dovuto comperare del pane e… meglio lasciar perdere le conseguenze della mia dimenticanza.
Inutile dirvi che ogni singolo racconto è stato rivisto e, dove era necessario, modificato sotto il punto di vista lessicale.
Diversa è la situazione per le novelle e le poesie contenute in questo testo. Esse sono state scritte con lo scopo preciso di far parte di uno stesso volume che in primis avevo definito “Triumphus- i sepolcri del mio spirito” e che ho legato solo successivamente a questi racconti poiché gli idilli in esso contenuti sono il risultato di notti insonni, anche se in modo completamente diverso dai racconti: essi, per la maggiore sono il frutto di notti insonni di dolore.
Spero che questo testo sia di tuo gradimento, fedele lettore. Spero inoltre che possa aiutarti nella vita di tutti i giorni, o almeno essere per te evasione dai dolori che ti circondano come lo è stato per me.
Grazie per avermi preferito e per la fiducia che riponi nei miei scritti.

Cordialmente tuo, Marco Amore