Orazio Labbate
I RACCONTI POETICI DEL LUME DELLA LAMPADA
Noi non sappiamo quale sarà il futuro lavorativo, accademico o professionale, del dottore in legge Orazio Labbate, ciò che possiamo dire oggi senza sbagliare, dopo averlo conosciuto e letto, che ci troviamo di fronte ad un poeta.
“Finiamola con lo stereotipo del poeta triste”, ebbe a ripetere una sorridente Alda Merini, in una trasmissione tv. “Anzi, se proprio vogliamo essere sinceri, il poeta è un goliardico, che si diverte e vive alla grande la sua vita”.
Inutile dire che concordiamo appieno e, d'altronde, lo stesso autore è un normalissimo ragazzo dai molteplici interessi, che come tanti studia, progetta il futuro, frequenta i luoghi abituali e di ritrovo degli stessi.
L'unica differenza è che, magari, accanto alla musica di Bruce Springsteen e un concerto dal vivo di Ligabue, con le luci, le note di Walter il mago a tutto volume e le ragazze, egli ami leggere Dostoevskij o Eugenio Montale, e nel frattempo scriva; scriva versi.
Certo, ciò non lo rende migliore degli altri, di tutti quelli che , diversamente da lui, corrono sgomitandosi nel seguire con affanno i ritmi televisivi imposti ai nostri tempi, che s'affaticano al raggiungimento di un successo, a volte effimero, proprio perché nel potere della loro scelta c'è stato quello di prendere la strada più breve, di percorrere i sentieri più facili che, però, non sono mai quelli giusti.
Il poeta è solo un uomo, terribilmente uomo, che ode il suono del tempo passare e cerca nella serenità, donatagli dai momenti dello scrivere, quel quid che più gli farà amare la vita, e non solo essa; quel quid che lo compenetrerà con quel campo ordinato dove vengono create le imprese che rimarranno negli anni; quel quid che lo renderà un'unica cosa con le infinite possibilità che dà il creato agli idealisti per realizzare l'impossibile.
Chiediamoci cosa saremmo noi, cosa sarebbe questa nostra terra, senza quegli oltre duemila anni di storia vissuta dai nostri grandi scrittori, pittori, architetti, artisti?
Chiediamoci cosa saremmo senza De Chirico, Michelangelo, Juvara? Senza tutti quelli che hanno respirato gli aneliti di Dio, compreso il Dio degli agnostici, e avuto in dono da lui gli “eroici furori”, lo spirito d'appartenenza a quell'areté che per gli antichi greci era il raggiungimento dell'eccellenza.
Forse, anche per questo, dopo le prime perplessità, dopo le prime letture, dopo i primi interrogativi e le incertezze, abbiamo capito il perché era possibile che un giovane di appena 22 anni fosse in grado di consegnare alla pubblicazione un'opera matura come I racconti poetici del lume della lampada: egli non era solo.
Egli non era solo quando li componeva, quando li scriveva, li sudava e li macerava, poiché aveva accanto a sé lo spirito che “dentro rugge”; egli è stato Shelley, Gogol, Ungaretti; ha rinnovato, ancora una volta, in modo totale e devastante, ciò che Jorge Luis Borges chiamava “ il creare i propri precursori”, poiché la storia infinita della letteratura non può che essere letta per tutti attraverso un unico spirito, lo stesso che sceglie a chi donarsi, a chi debba essere il mezzo per fare sì che le parole sgorghino da sole, trovino da sole la via per essere voce dell'anima e del cuore, immagini del silenzio, del suono, dei profumi più nascosti negli anfratti remoti del tempo, tra i deja vu dell'infanzia e dell'amore sterminato.
Io volevo sdraiarmi sulle tue gambe corte,
prima però superai le scale… dopo, non vorrei mai fosse accaduto,
non sconfissi l'entrata per cogliere i tuoi biscotti avariati.
Ecco, il poeta è il mezzo per dare asilo alle parole e a tutto l'amore che in questa terra crea emozioni. Il poeta è l'immensità del tempo, la sua rinascita dall'agonia e dalla morte ed il richiamo, in questa raccolta, a John Horace Burlenson dell'Antologia di Spoon River di Egdar Lee Masters, non è altro che l'ennesima prova di come un poeta abbia amato un altro poeta con lo stesso afflato, allo stesso identico modo, di quanto e di come, profondamente e nella carne, lo abbia amato Fabrizio De André che a lui dedicò uno dei suo album più belli: Non al denaro, non all'amore, nè al cielo.
Verosimilmente Orazio Labbate li ha amati entrambi e, a differenza loro, a differenza di tutti e sempre, ne I racconti poetici del lume della lampada , la quiete disperazione del vivere viene suggestionata da cose che vorremmo credere senza anima: il Faro… sei solo e lo sai . Oppure il Libro… chiuda la sua coperta . Tutto sembra prendere corpo dall'inconsistenza, dalla inesistenza, dall' in - essenza , che sono i temi cari alla scrittura del nostro.
A me pare che la cifra della sua poesia non sia onirica ma volutamente impalpabile; non è un'affermazione tanto per farla. Leggo in ogni titolo dei suoi componimenti un editoriale (L'insonnia delle antenne, straordinario nella sua semplicità!) che è una spiegazione al prosieguo delle storie, senza cui tutto perderebbe senso; eppure egli stesso ci aveva avvertito: “… non cercare il senso alle parole insensate proprio perché insensate”.
Ma, all'occhio attento non sfugge che ci sia la carne al di là del dire e dello scrivere, al di là dei ricordi, dei momenti intimi universalizzati, degli omaggi agli amici esistenti poiché inesistenti, ai Faber, ai letterati, ai finti Pessoa, agli artefizi letterari dettati dal momento dell'intuizione che è ricerca sofferta, difesa del mestiere e della lettura, dell'incancellabile cultura, della carne e del sangue, pasto e nutrimento della poesia che non morirà mai, nonostante la demenza di questi nostri tempi brevi, giacché un altro poeta è nato e ha dato in stampa la sua opera.
di Rocco Chimera
Collana "Gli Emersi - Poesia "
pp.76 €13,00
ISBN 978-88-7680-527-1