immagine di copertina
Marina Riccucci

Il suo libro nelle mie mani

Quasi un prologo

Die Tatsachen gehören alle nur zur Aufgabe, nicht zur Lösung.
(L. Wittgenstein, Tractatus logicus-philosophicus)


Racconterò di Lidia e di alcuni episodi della sua vita: di riflesso toccherò momenti della vita di Anna, mia sorella, e anche della mia.
Dirò dove siamo approdate oggi, anno corrente 2007: non perché sia convinta che questo nostro presente sia porto sicuro e definitivo, ma semplicemente perché mi sono concessa l’illusione che l’oggi sia una soglia, da oltrepassare in quanto tale, ma comunque una soglia, nella sua implicitezza di sosta, piuttosto che di traguardo; bassopiano da cui traguardare orizzonte e vetta insieme, piuttosto che pacificante meta.
Ma devo subito avvertire che pochissimo dirò del nostro odierno e per lo più lo farò ogni volta che mi troverò a sostenere un congedo: da un argomento, da una considerazione o anche da un pensiero incalzante che non ho avuto la capacità di reprimere. Non ho mai avuto il ruolo di confidente di Lidia e neanche mi sono mai riconosciuta nelle vesti titolate di sua amica. Come tutti nei confronti di tutti gli altri, mi identifico in un testimone che osserva e che recepisce quel che può, relativamente al proprio vissuto, impossibilitato per costituzione ad astrarsi dall’infimo contingente. Il resto, intendo ciò che non ci riguarda, è inevitabile che ci sfugga: scivola su noi e lo perdiamo, e quanto esala potrebbe anche essere il fatto o il dettaglio più importante o determinante in assoluto. La qual cosa, meccanica e fisiologica insieme, preclude la cronaca del noi: ma, in fondo, mi pare, è un bene.
Sono convinta che rivelare e descrivere frammenti di un’esistenza (di quella altrui come della propria) sia sempre e comunque peccato di indiscrezione, in fondo nient’altro che un voyeristico esercizio di stile: e se di peccato si tratta, come sono convinta che proprio di questo si tratti, certo comunque non mi redimeranno la volontà e la necessità di essermi astenuta dalla tentazione di raccontare le minuzie, immancabilmente pruriginose e petulanti, del presente. Non mi assolverà, d’altra parte, neanche, la frammentarietà dei resoconti. Scrivere è inevitabilmente una forma di tracotanza.

Durante la stesura di queste pagine mi sono continuamente confrontata con lo spettro che ha accompagnato - un po’ per assuefazione, un po’ perché non ho saputo alternativa - ogni mia scrittura. Quello dell’abuso, apparentemente comodo, di un tempo verbale, l’imperfetto, affiancato e congiunto a un modo preciso, l’indicativo. Sarà che mi hanno insegnato che il narrare si fa anche così (non ci dissero, a scuola, che l’imperfetto è per antonomasia narrativo?). A poco a poco, però, sotto la pressione di letture eterogenee, ho cominciato a sentire tutto l’ingombro affannoso di quella coniugazione e a convincermi della sua protervia, della sua crudeltà. L’imperfetto indicativo, mi sono detta, è la punizione, è la condanna all’inattualità del futuro. (Ab)usare di un “facevo”, di un “pensavano”, di un “mangiavamo” è dare alla vita una scadenza e un arresto. Un postulare che non “farò”, che non “penseranno”, che non “mangeremo” mai più. Quando mi sono accorta di questo, rileggendo le mie righe, ho provato un senso di soffocamento: e allora, per egoismo, per dare sollievo, prima di tutto, a me stessa, ho iniziato a sostituire, ad alterare nel remoto la tempistica, determinando sempre più spesso il presente indicativo e i suoi corollari, quale il passato prossimo, che mi dice vibratile movimento. È nel presente che sigillo l’explicit del mio riferire ed è nel presente che mi congedo dalla pagina scritta. Nessuna delle persone che agiscono queste pagine subisce in epilogo l’imperfetto indicativo. Per me è stato come sorridere loro, in un certo senso è stato un volerle rendere immuni dall’inanità stritolante dell’azione compiuta, del dato di fatto mostruosamente immutabile.

dall'Introduzione
Marina Riccucci vive e lavora a Pisa.
È ricercatrice di Letteratura Italiana, collabora con molte riviste specializzate e da anni si occupa anche di scrittura giuridica. “Il suo libro nelle mie mani” è il suo romanzo d’esordio.