Quello che colpisce maggiormente nei versi di Natale Miriello è la pacatezza, quel guardare la realtà attraverso il buco della serratura, quasi per non disturbare quelle parole dette a bassa voce, anche quando esprimono concetti profondi o, addirittura, dolorosi, come la meta raggiunta “con stridor di denti”, che ti fa rabbrivedire come lo stridio del treno sulle rotaie; o quando invoca la musa a dispiegare le sue ali per proiettarlo oltre i confini del finito; oppure quando i toni diventano tristi, malinconici, a volte sconsolati, nella consapevolezza che la vita è una farsa e ogni uomo, nell’indifferenza degli astri, che perennemente girano su se stessi, recita la sua parte sul palcoscenico della vita e, alla fine, “tristemente muore”.
Tuttavia, questa nota malinconica, che sembra aleggiare in alcuni componimenti, si dissolve di fronte allo spettacolo delle “palombelle di mare”, che evocano ricordi lontani, nei quali l’autore trascende la quotidianeità del presente, lasciandosi travolgere da “un’estasi arcana”.
Ecco, però, che a un tratto quelle emozioni, che, di fronte allo spettacolo della natura e alla svagata consapevolezza dello scorrere inesorabile del tempo, sembravano latenti o quasi sopite, si incendiano di fronte allo sguardo di una donna, che riesce a scombussolare l’io con la potenza di un uragano. Fino a quando la tempesta non si placa “nella quiete serale”, in quelle “mani nella mani”, che sono il segno di un amore maturo e profondo, in cui risuona l’eco delle “fanciullesche voci”.
Nella poesia di Miriello il verso è libero, al di fuori dei canoni metrici tradizionali, come se fosse insofferente a qualsiasi costruzione esterna, e, in una molteplicità di forme e di composizioni, ora brevi, o addirittura, brevissime, ora più lunghe, ha tutta una musicalità interna, che si dispiega come lo scorrere dell’acqua limpida fra i ciottoli del ruscello.
dalla Presentazione del Prof. Alessandro Cavallaro