|
|||
Giuseppe Foderaro Quando Menelao fece ritorno da Troia, le sue navi rimasero bloccate sull'isola di Faro, vicino all'Egitto. Per poter rimpatriare, il fratello d'Agamennone dovette ottenere suggerimenti da Proteo, il vecchio del mare. Menelao aspettò sull'orlo della spiaggia che il vecchio si addormentasse fra il suo “gregge di foche”. Lo avvinghiò, immobilizzandolo, mentre il figlio di Nettuno subiva molteplici metamorfosi per tentare di sfuggire all'eroe. Tuttavia il marito di Elena tenne saldo il suo abbraccio d'orso, e così alla fine il vecchio smise di trasformarsi e diede a Menelao tutti i consigli richiesti. Beh, eccomi qua, un tipo di Menelao moderno. In un certo senso le mie navi sono ormeggiate. Odio la cultura contemporanea. Odio il cinema, il jazz, il rock. Odio il computer. Ma abito a Manhattan, nello stomaco della bestia moderna. Come potrò mai tornare in patria? Ovvero, dove troverò una vita ricca di significato, sepolto come sono in questo immondezzaio di pseudo-cultura? Giuseppe Foderaro è il mio “vecchio del mare” (anche se più giovane di me). Quando leggo la sua poesia mi sembra che io stia trattenendo con difficoltà un Proteo che muta in diverse forme molto rapidamente. La sua inventiva è formidabile e i suoi versi sono come un'esplosione d'immagini e di idee che si possono comprendere soltanto prestando molta attenzione ai particolari linguistici. L'autore rivela come un giovane scrittore che siede davanti al suo PC, che guarda uno schermo, che digita su una tastiera – con pazienza e con arte – possa creare collegamenti fra le culture antiche (e medievali) e quella contemporanea, come egli possa fare una sintesi di tutte le civiltà fino ad ora esistite. E questo è straordinario. Giuseppe sostiene che le cose del mondo sono fisiche. Le lettere che compongono le parole, i suoni che scaturiscono quando si legge il poema ad alta voce, le viscere del notebook su cui vengono dattiloscritti i lemmi, tutte queste cose sono tangibili. Il lirismo di Giuseppe Foderaro è pieno di un equilibrio italiano, di un'integrità concreta che abbiamo perduto – o forse non l'abbiamo mai avuta – in America. L'America è un deserto d'idee astratte, idee senza alcun legame con l'Umanesimo o con il corpo umano. Per esempio il seguente verso non l'avrebbe mai potuto scrivere un americano: «sinfonica dieresi di fibre sbigottite». In inglese suona benissimo: «symphonic dieresis of bewildered fibers». In questo rigo si può percepire una visione interessantissima, che tutto il mondo odierno – elettronico e tecnologico – è tale e quale ad uno smisurato corpo umano, i suoi fili metallici sono come nervi. Ed è soltanto un pezzettino della sapienza vecchia di questo poema giovane...
|
|||