|
|||
Rosalinda Busseti Grazioli Fa piacere per un Sindaco, che ha passato molti anni sui banchi di scuola come allievo del liceo classico e poi in cattedra come insegnante di letteratura in una scuola superiore, scoprire le pagine di una sua concittadina, Rosalinda Grazioli Busseti, figura caratteristica di Castelverde con la sua treccia sulle spalle impegnata da molti anni nel sociale e nel volontariato, che ama e scrive testi poetici, la quale ha ancora tempo e voglia di soffermarsi – gioire/soffrire – su cose apparentemente scontate: un ricordo, una sensazione, un'immagine, o esprimere un dolore nascosto che quasi sempre cerchiamo di negare. Oppure il soffiare del vento: Non chiederti perché il vento/ urla e si contorce mentre/ … Dico questo anche se ci si chiede in continuazione a che cosa può servire la poesia, soprattutto oggi. Quando il mondo è travagliato da problemi ben altrimenti gravi, come le guerre, il terrorismo, il deterioramento dell'ecosistema, la miseria di centinaia di milioni di persone, la riduzione in schiavitù di donne e bambini, quando la stupidità dell'informazione ammorba il senso stesso del comunicare, che posto può esserci per la poesia? Gli stessi poeti del '900, per superare la retorica delle definizioni roboanti dei secoli precedenti (il poeta-vate), hanno dato risposte spesso ambigue o negative, come Eugenio Montale (premio Nobel 1975) secondo il quale la poesia è inutile, ma necessaria, ma che si espresse anche in modo molto più provocatorio ( La poesia e la fogna, due problemi / mai disgiunti - Satura ); o come Wieslawa Szymborska (premio Nobel 1996), che vedeva nella fragile indefinibilità del testo poetico un'ancora di salvezza, quando scriveva: Ma cos'è mai la poesia?/ Più d'una risposta incerta / è stata già data in proposito. / Ma io non lo so, non lo so e mi / aggrappo a questo / come alla salvezza di un corrimano. La risposta vera sta nella realtà: la poesia, anche se si presenta come mondo misterioso adatto per pochi, per un'élite di elevata sensibilità, viene continuamente scritta e letta. È da millenni che capita – certo in forme diverse – e dunque il poeta soddisfa almeno due esigenze: quella sua di esprimersi in forme nuove e quella dell'ipotetico lettore, di ogni età e condizione, che finisce per unirsi allo scrittore immaginato ma sentito come “vicino”, lavorando su emozioni ed esperienze aperte all'incontrarsi in profondità, anche solo attraverso una parola, uno sguardo tacito ed un poco di silenzio intorno. Si tratta di un “gioco di parole”, che inventa mondi possibili, sempre più necessario oggi. Se non si salva o non si incentiva “il giocare con le parole”, la poesia scompare e con essa una parte della bellezza del mondo, della sua sensibilità. Giocare con le parole significa combinarle in maniera inusuale, montarle insieme in modo inaspettato, accostarle per far sì che sprizzino nuove scintille, in modo che il lettore possa scoprire in loro e attraverso loro sempre nuovi significati, anche i più nascosti e misteriosi. Questo gioco della poesia è realizzato da Rosalinda Grazioli Busseti in forme brevi, concentrate, a volte allusive e non immediate, rifacendosi a moduli poetici che hanno il loro riferimento in quella stagione della poesia del primo novecento che prese avvio da Giuseppe Ungaretti e dagli ermetici, una poesia che rifuggiva dal verso roboante o seducente, ma preferiva racchiudere tutto un mondo in pochissimi versi. Sommesso/ infantile/ verso/ garrulo/ omaggio/alla letizia/ Sospeso/ sottile/ malore/ del cuore/ Così/ convochiamo/opposti/ (Convivio) Ma anche agli haiku giapponesi, quel componimento di tre versi (di cinque, sette, cinque sillabe), che obbliga ad un lavoro di sintesi e al collegamento tra le immagini per accostamento e allusione, richiedendo al lettore stesso di scoprire nello spazio bianco, nei vuoti ricchi di suggestione una traccia e un filo di senso. Versi liberi, dunque, con qualche rima che accentua la musicalità del componimento. La fotografia/ se coglie il tuo cuore/ perla di poesia. Bello pensare che ancora oggi, con tutto lo sfavillio di una civiltà presa dal delirio della velocità e del successo a tutti i costi, con a disposizione le tecnologie più impensate, esista ancora qualcuno che impegna la propria intelligenza e la propria sensibilità a scrivere versi anche se, lo sappiamo, interesseranno solo a pochi. Per fortuna la poesia non può diventare produzione di massa – diceva Montale. E basta poco per crearla: basta un foglio di carta e una penna. Penso che i poeti ci debbano offrire la loro poesia come testimonianza di una patto di fedeltà a sé stessi, nel nome di un'etica cosciente del limite e del finito: dobbiamo ringraziarli quando rifiutano di farsi consolatori/educatori degli altri, offrendoci versi in amicizia, sempre aperti a cogliere con profonda pietas la sofferenza della terra alla ricerca di una purificazione che sempre ci sfugge. Quindi, finalmente/ il sollievo di vedere/ il cielo/ le stelle/ alla fine del purgatorio/ regno della purificazione/ Non è ancora beatitudine/ questa luce che introduce/ un valore morale mentre/ esplora /la storia dell'uomo. Carmine Lazzarini |
|||