|
|||
Salvatore Falzone La Corona del Re è un appassionante “cuntu pirzisi”, un racconto ambientato nella prima metà del 1500, che ripercorre, attraverso il felice incontro tra storia e immaginazione, i sentimenti, le emozioni, i conflitti, le speranze di Gerolamo Barresi, Marchese di Pietraperzia. È una bellissima ricostruzione della memoria storica collettiva che ha lasciato traccia di sé nell’ambito della comunità di Pietraperzia e che l’autore ha sapientemente ricostruito attraverso i documenti storici che svelano la vita nascosta di questo paese e del suo famoso Castello. La vita di Gerolamo si inserisce nella storia globale ed è di quest’ultima causa propulsiva. Al dato storico si affianca il significato esistenziale, ai fatti si contrappongono i sentimenti che li hanno, più o meno consapevolmente, generati. All’esperienza storica (macrocosmo) si affianca l’esperienza personale (microcosmo). Ai personaggi realmente esistiti si intrecciano le vite di personaggi immaginari, quali i fedeli amici Saro e Ferdinando, Sara e la splendida figura di Idris, maestro di Gerolamo. L’immagine della Sicilia che traspare è viva, animata da uno spirito curioso e indagatore, ampiamente consapevole della problematica storica del tempo. La Sicilia “parla” non solo attraverso i personaggi ben delineati ma anche attraverso le cose, i luoghi, le espressioni dialettali che, sparse qua e là nel testo, contribuiscono a dare un effetto realistico molto suggestivo. Nel romanzo, alla storia di Gerolamo, all’invenzione, si affianca, nascosta, quasi cristallizzata in alcune immagini (soprattutto nei sapori, nei profumi e nei colori) l’esperienza umana dell’autore. Quella Sicilia è la sua Sicilia. Lo si capisce dalla precisione quasi meticolosa, dall’incedere lento, a tratti compiaciuto, nella descrizione delle piccole cose che svelano una Sicilia inedita, ai più sconosciuta e che costituisce un patrimonio culturale che non va dimenticato. Direi che su tutta la storia aleggia la volontà di raccontare i fatti con lucidità e distacco emotivo. In questo senso credo vada interpretata la storia d’amore di Sara e Gerolamo. Entrambi sacrificheranno il loro amore, entrambi vivono e perseguono un ideale comune: nessuno dei due è libero di pensare a sé, al proprio bene e soltanto così si sono resi possibili il loro incontro e rapporto. Il loro amore è un sentimento che li unisce soprattutto nella lotta, nella tensione verso la verità, una vita migliore al castello, una vita rinnovata e più giusta per tutti. A far avvicinare i due hanno contribuito i valori e gli ideali condivisi. Sara non chiede nulla per sé; sa che l’uomo che ha incontrato è una figura complessa nella quale si agitano pensieri e preoccupazioni superiori a quelli individuali. Ciò che, alla fine della storia, deve trionfare è la giustizia, la realizzazione del bene comune e, soprattutto, la pace. Intenso il finale con la morte di Idris, il cui congedo è meno doloroso ora che Gerolamo è salvo: “Tornò una quiete irreale. Idris chiuse gli occhi. Per sempre”. Simona Giardina |
|||