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Daniele Ardigò
Entro nei tuoi occhi...
L’ORIGINE DELLA POESIA
Occorre custodire
fra le valve del silenzio,
il seme del soffrire,
la sillaba del pianto,
la stella dell’assenzio,
l’origine del canto.
«La parola abbaglia e inganna perché è mimata dal viso,
perché la si vede uscire dalle labbra, e le labbra piacciono e gli occhi seducono.
Ma le parole nere sulla carta bianca sono l’anima messa a nudo.»
Guy de Maupassant, «Il nostro cuore»
Scrivere è difendere con coraggio persone, è lottare per gridare
il dissenso proprio e altrui. È una ribellione, però, che non ha
bisogno di essere difesa, che non ha bisogno cioè di giustificazione.
Se esiste un parlare, perché scrivere? L’espressione immediata,
quella che sgorga dalla nostra spontaneità, è qualcosa di cui non ci
assumiamo interamente la responsabilità, perché non emana dalla
totalità della nostra persona: è una reazione sempre dettata dall’urgenza
e dalla sollecitazione. Parliamo, giacché qualcosa ci sollecita e
c’incalza dall’esterno, da una trappola in cui c’invischiano le circostanze
e da cui le parole ci dovrebbero liberare. Grazie alle parole
ci dovremmo liberare, affrancare dal momento, dalle circostanze
assedianti. Tuttavia, le parole possono anche ingannare, perché il
loro uso eccessivo può produrre una disgregazione: per mezzo delle
parole vinciamo il momento e subito dopo siamo vinti da esso,
dalla successione di momenti che superano il nostro assalto, senza
lasciarci rispondere. È un’apparente vittoria che alla fine si tramuta
in sconfitta.
Da questo sbandamento intimo, non di un singolo uomo, ma
dell’essere umano, scaturisce l’esigenza di scrivere. Scriviamo per rifarci
della sconfitta subita, ogniqualvolta abbiamo parlato a lungo.
La vittoria può germinare solo dove abbiamo sofferto la sconfitta,
ossia nelle stesse parole. Quest’ultime ora, nello scrivere, esplicheranno
una diversa funzione: non serviranno più il momento oppressore,
non serviranno più a giustificarci di fronte all’assalto del
momentaneo, bensì, partendo dal centro del nostro essere, ci difenderanno
dinnanzi alla totalità dei momenti, alla totalità delle circostanze,
dinnanzi alla vita intera.
Quale può essere allora lo scopo della poesia?
La poesia è ispirazione, sgorga dall’emozione, ma non è solo questo.
Il poeta e lo scrittore in generale mirano a contrastare l’atmosfera
opaca e materialistica in cui viviamo, ad opporsi alla banalità ed
all’uniformità dell’esistenza. Questo cammino interiore dello scrittore
diventa la voce più acuta della sua vita, una forma di conoscenza
del mondo, un incontro tra l’immaginario ed il reale, tra ragione
e cuore: un modo di riconoscerci e di ritrovarci, quando ciò che
proiettiamo sulla carta ci fa capire quanto valiamo come persone.
Ma è anche un viaggio verso l’ignoto ed il mistero, perché quando
iniziamo a scrivere, non sappiamo dove andremo a finire, quali confini
oltrepasseremo. La scrittura diventa, quindi, indispensabile per
qualsiasi persona, mossa da curiosità e spinta dal desiderio di conoscenza,
per oltrepassare la finitezza del limite.
Lo scrivere ha pure un altro scopo: deve essere in grado di descrivere
e di comunicare la realtà, perché l’arte è soprattutto testimonianza.
Come tutte le forme d’arte, la scrittura raffigura la vita e
testimonia per ciò che è successo, avviene o accadrà. Ed è proprio
questo il privilegio dello scrittore: la forza della letteratura resiste al
vuoto, al nulla, all’oblio. Questa energia potentissima per combattere
l’omologazione e la superficialità contemporanee ha dato origine
al titolo di questo libro: «Entro nei tuoi occhi...». Gli occhi di chi?
Del bambino malnutrito, raffigurato sulla copertina innanzi tutto,
ma non solo: della propria fidanzata, di una sorda, del vento, di Padre
Pino Puglisi, di un sole-bambino, della brina, del figlio di una
sordo-muta, etc.
Molti pensano che la poesia sia morta, uccisa dall’indifferenza e
dalla frenesia della vita moderna, ma, finché anche solo un frammento
di essa vivrà dentro di noi, la poesia non sarà mai morta
davvero. La poesia è fatta di parole che ardono, parole che possono
trarre dal buio chi non vede, parole la cui luce, come un faro, guida
il marinaio al porto fuori dalla tempesta; parole buone che danno
conforto, asciugano il pianto, aiutano a vivere. La poesia può esprimere
con dieci parole quello che nemmeno una vita e un miliardo di
parole riuscirebbero a spiegare.
«La poesia è la rivelazione di un sentimento che il poeta crede sia
personale e interiore, ma che pure il lettore riconosce come proprio.»
Salvatore Quasimodo
Prefazione di Daniele Ardigò
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Se esiste un parlare, perché scrivere? Parliamo, giacché qualcosa ci sollecita e c’incalza dall’esterno. Grazie alle parole ci dovremmo affrancare dalle circostanze assedianti. Tuttavia, le parole possono anche ingannare, se usate in eccesso e a sproposito: per mezzo delle parole, vinciamo il momento e subito dopo siamo vinti dalla successione di istanti che superano il nostro assalto. Da questo sbandamento intimo, non di un singolo uomo, ma dell’essere umano, scaturisce l’esigenza di «scrivere».
Scriviamo per rifarci della sconfitta subita, ogniqualvolta abbiamo parlato a lungo. La poesia è fatta di parole che ardono, parole che possono trarre dal buio chi non vede, parole la cui luce, come un faro, guida il marinaio al porto fuori dalla tempesta; parole buone che danno conforto, asciugano il pianto, aiutano a vivere. La poesia può esprimere con pochi versi quello che nemmeno una vita e un miliardo di parole riuscirebbero a spiegare.
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Collana Gli Emersi - Poesia
pp.80 €12,00
ISBN
978-88-591-0387-5
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