“Scrittura privata” potrebbe essere solo un tumulto interiore, una rabbia che si sente come un vizio di passione, parole e voci d’un salire ininterrotto d’ogni sentimento scavato nel verso, sapendo che la poesia non muta nulla ma ha senso se esiste e va detta. Questo libro ha radici nella fatica e nel disincanto delle relazioni affettive, nell’insufficienza della parola espressa che non permette d’incontrarci reduci da una comprensione profonda. È il mestiere, oltre un generico intimismo, della vita stessa sintetizzata nel “metodo poetico” di decifrare l’attesa, l’ansia del mattino dove già si vedono le cose e la loro replica. Rinnovare la fede che chiede una lotta per non consegnarsi a un passato dai toni bassi e vedere da questo istante in avanti… il valore di frequentare un’altra possibilità. Per questo ricorre nelle poesie la speranza di utilizzare il tempo, l’istante come tutta la vita e seppur breve obbliga a cogliersi in momenti di dialettica interna, di confronto con gli altri, col lettore se possibile provando a far sentire una comunione di corpi spinti oltre la materialità della carne, del desiderio che pure scheggiano il contenuto dei versi. Rappresentano la gioia d’essere ancora una passione dopo il fallimento che ci prende le parole. La loro vocazione, il significato di scriverle d’una coriacea consistenza che tocchi tutto quello che è stato, quello che è ora, prensibile. Forse non sempre la lingua è nella poesia di queste pagine di relazione, sociale ma in una parte di essa ci si può scorgere ai fianchi delle parole, nel sottotraccia che assorbe la materia letteraria. Testimonianza di un’interpretazione metaforica dello svelarsi di un destino contaminato perché si condivide, ex aequo, con chi intende la convocazione della lingua poetica come la possibilità di essere “migliore e più nobile della vita” ovvero una confessione sentita, toni probabili all’allitterazione per coincidere con se stesso nell’ansia d’avanzare il tempo della disgregazione “Il tempo è solo un covo da lasciare/puntando a un tirar di stelle,/ al gocciare di un debole miele di tua mitezza”.
Così nella poesia “Dicitur” Suona anche per me la differenza accerchiata da identiche parole che mi fanno un tornio universale, condizione di diversa somiglianza, inesorabile come la vita datrice di pensieri ed opere forti superando uno dopo l’altro ostacoli di mente.
Calogero (Gianfranco) Curabba nato a Partinico il 17/09/1962. Laureato in Scienze Politiche nel 1993 presso l’Università degli Studi di Palermo.
Diploma e borsa di studio per la ricerca scientifica in “Potere Costituente e Revisione Costituzionale”, 1995 / 1997 presso Istituto di Formazione Politica “Pedro Arrupe” di Palermo. Attualmente è funzionario amministrativo presso l’Autorità per il trasporto aereo - ENAC.