Giungere nella Stanza della Luce significa penetrare un luogo dell’anima, una dimensione individuale e cosmica insieme, che si cela inconscia nell’interiorità dell’uomo, mentre trova la propria epifania nel ripetersi ininterrotto dei cicli della natura: qui, dietro il continuo fluire dell’apparenza, si rivela l’essenza stessa delle cose. ‘‘Luce antica dono del drago’’ è la luce primordiale della purezza e della rinascita, è l'accesso alla sapienza originaria, possibile solo attraverso un processo paziente e lento di trasformazione: dall’impermanente, di cui fanno parte il dolore come la gioia, al permanente; dalla caducità delle esperienze vissute al ‘‘canto antico e infinito’’ che rivela l’‘‘arcano’’. È la comprensione del dolore come ‘‘passaggio per…’’ che porta alla luce; è il dolore ‘‘la ferita’’ che dona la veggenza, purché le forze originarie dell’inconscio riescano a sprigionarsi intatte nella magia della danza, nella musica, nella poesia, per esprimere liberamente la propria purezza primigenia. Solo allora può aprirsi improvvisamente quel varco che va oltre la volubilità dell’impermanenza e coglie il senso stesso dell’essere e della vita: il sorriso della maschera di Buddha, ‘‘da nulla più scalfito’’. Cifra stilistica del testo è la musicalità cantilenante, a volte ossessiva, che riproduce la danza, il sortilegio, le forze oscure evocate dal mago, perché attraverso il processo si compia la ‘‘visione magica’’ e ‘‘dal millenario errare,/ desertico, pietroso,/ zampilli l’eterna visione/ dell’acqua della vita’’.
Cristina Morandi