È, prepotente, lo spaccato dell'Italia che parte dalla fine degli anni quaranta, quello che emerge dalle pagine che lo scrittore napoletano Giammario Gottuso ci trasmette con dovizia di particolari non senza farci rivivere, in maniera quasi tangibile, quei giorni di grande trasformazione che hanno caratterizzato quegli anni nel nostro paese, e lo fa attraverso le esperienze e le vicissitudini di quel “guaglione” che, dovendo seguire la famiglia, è costretto, suo malgrado, a vivere esperienze diverse in altrettanto diverse regioni italiane dove la famiglia, appunto, deve trasferirsi per potere sbarcare il lunario in quello scenario fatto di improvvisazione e di precarietà inevitabili alla fine del secondo conflitto mondiale. Spaccato che attraversa tutta l'Italia.
Inizia da Trieste “trovandosi dalla parte sbagliata” come dice l'autore, dovendo fuggire perché la sua famiglia “italiana” era invisa alla popolazione di etnia jugoslava evitando, per fortuna, quei drammi, quei dolori e quelle morti che le foibe ci riportano impietosamente alla mente. Ricordando, anzi, amorevolmente e con nostalgia, la stazione ferroviaria dove la sua famiglia, il padre ferroviere, abitava e dove lui, fanciullo, giocava.
È però nella Napoli post-bellica che l’arte narratoria del Gottuso trova la sua maggiore realizzazione facendo “vedere” le scene di vita, di improvvisazione, che, nella città partenopea, quotidianamente si ripetevano nella ricerca spasmodica di quel denaro indispensabile alla sopravvivenza propria e delle proprie famiglie pur nella consapevolezza, taluni, di compiere atti non proprio corretti ma dettati dalla necessità di doversi arrangiare.
(Antonello Frattagli, poeta e scrittore)