Moltissimi versi scritti in gioventù sono andati persi. Ma dal 14 febbraio 2018 ho raccolto con metodo tutto quanto ho avuto bisogno di scrivere: lavoro, lutti, pandemia, svolte e rivolte, traguardi provvisori, gioie e delusioni, dolori, scommesse, sfide, utopie necessarie e sogni possibili. Guardando intorno, leggendo e ascoltando, sempre. Ricordi, amori e visioni, sempre. I versi mi sono serviti per vivere e sopravvivere, e per scegliere tra quello che si può scegliere. E quando non c'è stata scelta mi hanno sorretto. “Diario precario”, perché non voglio smarrire il filo del pensiero e perché precaria è la vita e la condizione umana. In una vita ci sono molte vite concomitanti che insistono sugli stessi giorni e sugli stessi anni, e questo spiega la scelta di una settantina di poesie, tra oltre seicento, suddivise in dieci paragrafi a cui si è aggrappato il filo del tempo, e che compongono, approssimativamente, il mosaico di un racconto certamente personale ma anche collettivo, in dieci capitoli di vite vissute. Massimo Troisi, ne “Il Postino”, dice a Pablo Neruda: “La poesia non è di chi la scrive, ma è di chi gli serve!”, ed ha ragione. Oggi moltissimi hanno uno straordinario bisogno di poesia, anche quando non lo sanno. Di certo io ne ho un tremendo e benedetto bisogno.